“Tenuto conto del suo valore ecologico, sociale ed economico, la fauna selvatica è un'importante risorsa naturale rinnovabile, con rilevanza per settori quali lo sviluppo rurale, la pianificazione del territorio, l'offerta alimentare, il turismo, la ricerca scientifica e il patrimonio culturale. Se gestita in modo sostenibile, la fauna selvatica può fornire un'alimentazione e un reddito e contribuire notevolmente alla riduzione della povertà, nonché alla salvaguardia della salute umana e ambientale” (FAO, 2005)
Saper gestire correttamente le risorse naturali senza arrecare danno al territorio è una capacità fondamentale, è la sola pratica sostenibile frutto dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni delle aree rurali. La ricchezza dei territori disagiati dal punto di vista produttivoeconomico risiede quasi esclusivamente nell’ambiente come elemento essenziale e caratterizzante non solo del territorio ma anche delle tradizioni e degli usi delle popolazioni stesse. La montagna, in modo particolare, è stata plasmata nei secoli dall’opera dell’uomo attraverso le attività tradizionali: silvicoltura, agricoltura, allevamento, caccia e pesca. Ognuna di queste attività, prima dell’avvento della tecnologia, si è sviluppata attraverso la capacità dell’uomo di osservare la natura e i suoi ritmi, al fine di apprenderne i segreti per gestire le risorse naturali e ricavare da esse il reddito necessario per la sopravvivenza e per gli scambi commerciali. Competenze e conoscenze che venivano tramandate di generazione in generazione, raramente scritte su testi, ma talmente chiare da essere parte fondamentale della cultura alpina.
La rivoluzione industriale, ed il conseguente abbandono della montagna, ha di fatto creato uno scollamento tra un nuovo stile di vita, consumistico, e quello che invece si era radicato nei secoli, basato sulla cultura della resilienza, insita nelle comunità locali dei territori alpini. Ed è proprio grazie a questa gestione consapevole del territorio che le popolazioni alpine hanno saputo mettere in atto strategie per ridurre i rischi idrogeologici e gli incendi, aumentare la produttività di territori all’apparenza improduttivi, aumentare la biodiversità degli habitat, erigere edifici e strutture in grado di rappresentare efficienza energetica e resistenza.
Negli ultimi secoli, ed ancor più negli ultimi decenni, si sono perse conoscenze acquisite in secoli di storia dell’umanità: chi è ancora in grado di coltivare patate? chi sa allevare un maiale? chi sa fare un formaggio? chi sa fare il pane? chi sa uccidere con rispetto un animale e trattare al meglio la sua carcassa? chi sa fare legna per la stufa? Senza tornare al medioevo, possiamo tranquillamente affermare che fino a un secolo fa quasi tutte le persone sapevano fare almeno un paio di queste cose senza alcun problema e senza cercare informazioni sui libri. E oggi? Pochissime persone sono in grado di fare tutto ciò che è stato elencato poco sopra, e sono considerate “fuori dal tempo”. Demandiamo ad altri lavori e compiti che non ci aggradano, col rischio che si perda la cultura del genere umano: perdiamo il contatto con la natura, con l’ambiente e con gli animali. Vediamo la montagna come posto per le vacanze, i pascoli come prati per fare picnic, le vacche come teneri animaletti che fanno suonare le loro belle campane, i rifugi come posti per mangiare polenta e capriolo, ma ce la prendiamo con i boscaioli che tagliano le piante, con i pastori che attraversano le strade con le pecore e con i cacciatori che sparano al “Bambi”.
L’attuale contesto sociale urbano sta letteralmente facendo guerra alla cultura millenaria delle popolazioni rurali, dimenticando le proprie origini. Lo stesso obiettivo della conservazione e della gestione delle risorse, sancito dalle Nazioni Unite a Rio de Janeiro nel 1992, assume punti di vista soggettivi, che vanno dal protezionismo assoluto allo sfruttamento tout court.
Altre tematiche trovano ampio consenso nella popolazione, come la necessità dell’aumento della biodiversità, l’utilizzo delle biomasse, la riduzione della CO2 e dell’impatto ambientale, la green economy, l’eco-turismo, il prodotto locale a Km0, il benessere animale.
Il progetto “Filiera Eco-Alimentare”, i cui dati sono esaurientemente raccolti in questo testo, ha racchiuso tutti questi concetti in una filiera che, con attenzione e rigore scientifico, ha dimostrato come l’attività venatoria, una delle pratiche tradizionali per eccellenza e allo stesso tempo quella più aspramente criticata nell’era moderna, potesse diventare uno strumento per il rilancio del territorio attraverso una corretta pianificazione delle sue fasi, il rispetto del benessere animale e la promozione del prodotto finale.
Roberto Viganò, Responsabile Scientifico del Progetto
Per ulteriori dettagli tecnici scarica e consulta la relazione a cura di Roberto Viganò, Andrea Cotini e Federica Fili al seguente link: Filiera Eco Alimentare